Il 9 maggio scorso è stato il novantesimo anniversario della nascita di Sophie Scholl, una ragazza tedesca, votata alla resistenza non-violenta contro il nazismo. Era cresciuta in una famiglia unita con una mamma premurosa e un papà straordinario nell’inculcare nei figli i valori della cittadinanza e della cultura, nutriti da una fede sincera, luterana, senza dogmatismi e confessionalismi. Sophie, dopo aver fatto parte da ragazzina della “Lega delle ragazze” di fatto imposta dal regime, prese sempre più coscienza delle ingiustizie ed angherie che si perpretavano in nome del popolo tedesco: aveva due compagne ebree, dall’aspetto decisamente “ariano” (mentre lei era bruna) emarginate, un professore era sparito all’improvviso dalla scuola, nella sua città, Ulm, c’era un campo di concentramento per “politici”, il papà era stato incarcerato solo perché aveva espresso un giudizio negativo su Hitler… inoltre da appassionata lettrice di autori come Stefan Zweig, Hans Carossa, Stefan George, Thomas Mann – quasi tutti censurati – Sophie non poteva sopportare un regime che giudicava “degenerati” scrittori per lei preziosi e reagiva come poteva: «Anche se non capisco molto di politica, e non ho nemmeno l’ambizione di capirla, tuttavia possiedo un pochino il senso di cosa è giusto e di che cosa è ingiusto, perché questo non ha nulla a che fare con la politica e la nazionalità. E mi viene da piangere, per come sono crudeli gli uomini nella grande politica, come tradiscono i loro fratelli solo per averne un vantaggio».
Durante il servizio civile obbligatorio crebbe il sentimento di doverosa opposizione al regime e il desiderio di dare senso al suo agire: «Un senso della vocazione o qualcosa di simile non ce l’ho. Ma se si vuole diventare artisti si deve pure, prima di ogni cosa, diventare persone. Venendo su dal profondo. Voglio cercare di lavorare su di me. E’ molto difficile» (Lettera alla sorella Inge, 8.VII.1938).
Quando Sophie si rese conto che Hans – il fratello più grande, particolarmente ammirato – aveva dato il via ad attività segrete, comprese che quello era il senso da dare alla sua vita in quel periodo buio. Dovette però pregarlo insistentemente di includerla nel gruppo, perchè Hans per l’educazione ricevuta e per un sentimento di protezione della sorellina non voleva coinvolgerla e del resto pensava che una donna dovesse rimanere fuori da azioni rischiose. Ma dovette cedere, Sophie aderì senza riserve alla "Rosa Bianca" (il nome dato da Hans al gruppetto di amici) e divenne a tutti gli effetti una cospiratrice attiva e preziosa, dato che poteva muoversi a rischio più contenuto, essendo come donna meno controllata dalle SS.
Né Sophie né i suoi compagni di lotta erano fanatici di ideologie da affermare a tutti i costi. Erano semplicemente coerenti con i valori umani e cristiani della fratellanza e della giustizia e pensavano che in quel periodo storico il loro primo dovere fosse combattere contro la barbarie e il disprezzo per l'uomo con i metodi della resistenza passiva. Il nucleo della Rosa Bianca era composto di cinque giovani universitari tedeschi che nel corso del 1942 e nelle prime settimane del 1943 sfidarono il regime nell’unico modo che parve a loro possibile: comunicare la verità. Rischiarono continuamente la vita diffondendo in Germania e Austria una serie di volantini (sei) contro Hitler, stampati clandestinamente, con l’obiettivo di raggiungere il maggior numero possibile di persone e renderle consapevoli di ciò che stava accadendo realmente («Ogni parola che esce dalla bocca di Hitler è una menzogna…»). Si trattava di contrastare la falsa propaganda: comunicare gli orrori che si stavano consumando ai danni degli Ebrei, informare delle sconfitte militari naziste, specie sul fronte russo a Stalingrado, fare appello ai grandi ideali della cultura e alle lezioni della storia, esortare i compatrioti alla ribellione, al sabotaggio, alla diserzione.
Come Hans, Sophie amava molto la sua famiglia e si rifiutava di assoggettare i legami familiari alla patria, alla Volksgemeinschaft identificata col partito-tutto. Era tutta una famiglia che dava testimonianza forte di coerenza, di azioni secondo coscienza e intelligenza: «Le leggi cambiano, la coscienza resta».
L’amore per la famiglia era forte, ma Sophie non avrebbe potuto anteporre i legami affettivi al dovere di giustizia che la urgeva dentro. Parimenti nutriva un sicuro amore per la patria ma auspicava la sconfitta della Germania proprio per liberarla dal regime. Era innamorata della natura e della cultura: amava la lettura («La sera, quando le altre scherzano tra loro, io leggo S. Agostino»), la pittura, lo sport, la musica, gli amici, il suo ragazzo Fritz Hartnagel. E’ stata ghigliottinata quando aveva solo 21 anni dal Tribunale del Popolo di Monaco di Baviera, il 22 febbraio 1943, per tradimento contro lo Stato e il Führer. Insieme a lei vennero decapitati il fratello Hans, l’amico Christoph Probst e, due mesi dopo, altri amici come Alexander Schmorell, Willi Graf e il professore di filosofia, Kurt Huber.
La storia di Sophie è quella di una ragazza moralmente integra, capace di cercare la verità e dare la vita per essa difendendo con coraggio la libertà di pensiero, i valori morali e civili, l’unità degli affetti contro uno Stato che distruggeva le coscienze idolatrando la patria e la razza. Col fratello aveva adottato il motto di Maritain: «Uno spirito inflessibile e un cuore tenero». E’ andata incontro alla morte a detta di tutti i testimoni con grandissima dignità e serenità, convinta che “Il sole splende ancora”.
A partire dagli anni Settanta, Sophie è stata onorata in Germania e nel mondo e collocata tra i “Giusti” della terra.
di Giulia Paola Di Nicola