Colloquio con Francesco Santi, direttore della Società internazionale per il medioevo latino sul nuovo volume
di Silvia Guidi
© L’Osservatore Romano, 8 luglio 2015
In occasione del quinto anniversario della morte di Claudio Leonardi (17 aprile 1926 - 21 maggio 2010), la Fondazione Ezio Franceschini e la Sismel Edizioni del Galluzzo hanno pubblicato il primo tomo delle Scrittrici mistiche europee. Secoli XII – XIII (Firenze, 2015, pagine 584, euro 72), a cura di Alessandra Bartolomei Romagnoli, Antonella Degl’Innocenti e Francesco Santi. Si tratta di un contributo agli studi su una tipologia di fonti a cui Leonardi ha dedicato un’attenzione centrale, innovandone l’interpretazione, e un modo per rendere omaggio alla sua memoria e per documentare la fecondità della sua impostazione scientifica. Il libro è stato presentato a Firenze, nella sede della Sismel, il 26 giugno scorso dai curatori, introdotti da un intervento di Agostino Paravicini Bagliani.
«Ma sul medioevo non si sa già tutto?». È questa la domanda purtroppo non ironica con cui un parlamentare italiano — di cui per carità di patria non ci è stato tramandato il nome — ha commentato l’esistenza della Sismel, la Società internazionale per il medioevo latino, nei lontani anni Ottanta del Novecento. No, non sappiamo ancora tutto dell’età di mezzo: c’è molto, moltissimo ancora da scoprire e soprattutto, da capire. Il libro Scrittrici mistiche europee lo dimostra molto bene. «L’Italia è stata convertita dai martiri, l’Europa dai re», amava dire Claudio Leonardi. Tutto vero — chiosa Francesco Santi, direttore della Sismel — ma l’Europa è stata convertita anche dalle mistiche del Brabante, della Renania e del nord della Sassonia, poco note se non a un ristretto numero di specialisti, donne che hanno scritto testi tanto lontani dal gusto contemporaneo quanto ricchi, vari e interessanti.
Qual è la storia più sorprendente nella quale vi siete imbattuti raccogliendo i testi?
Il Dio delle mistiche è un Dio vicino, si manifesta e si nasconde in ogni cosa e spinge a grandi avventure, come le fughe di Cristina di Markyate, che rifiuta un matrimonio violento, o i vagabondaggi di Cristina l’Ammirabile, che «fuggiva nei deserti, sugli alberi, in cima alle torri (…) e pensavano che fosse piena di demoni», mentre ogni cosa faceva con amore. Tutte le vite e le esperienze raccontate in questo libro sono originali e sorprendenti; spesso ci arrivano per la fortunata sopravvivenza di un manoscritto. Ci fanno capire quanta libertà, quanta originalità, quanta creatività esistenziale e intellettuale sia stata possibile nella tradizione cristiana. Spesso tutta questa singolarità, specie a proposito del rapporto con il cibo e con il sesso, è stata ricondotta nel segno della malattia. Le malattie certo esistono e vanno curate in tutte le epoche, ma esiste anche lo spazio della differenza in cui la vita si realizza e le dolci stranezze dei santi lo testimoniano.
E il testo più bello dal punto di vista formale e stilistico?
Tutti i testi che abbiamo raccolto sono in forma diversa documenti di esperienze poetiche e costituiscono sperimentazioni di stile. Questo è più evidente nelle autrici le cui parole ci arrivano meno vincolate dalla mediazione degli scribi che lavoravano per loro (spesso siamo di fronte a scrittrici analfabete). In alcuni casi, come nei racconti del verdeggiare di Ildegarda di Bingen, nella luce descritta da Matilde di Magdeburgo, nelle lotte divine di Hadewijch la qualità poetica è immediatamente seduttiva e subito coinvolge la nostra sensibilità, ma ognuna di queste scrittrici è consapevole di dover inventare un linguaggio e tutte sanno che la riuscita del loro lavoro espressivo è la condizione di verità della loro esperienza («è lo Spirito che parla in voi»). Tutte meritano la fatica del lettore perché tutte hanno il senso di una responsabilità poetica, di dover scoprire quel tipo di linguaggio dove il contenuto e la forma divengono la stessa cosa. In questo senso mostrano come sia un luogo comune che la mistica corrisponde solo alla teologia e alla spiritualità negativa, che scopre sempre Dio inesprimibile. Come insegnava Ugo di San Vittore, Dio è absconditus e insieme manifestus. È lo spazio delle mistiche, e la loro poesia ne trae giovamento.
Ildegarda di Bingen è probabilmente la santa più conosciuta ma anche meno capita e più fraintesa nella nostra epoca. «Nella sua concezione tutta la natura è pervasa dall’amore divino» si legge nell’introduzione. Forse l’enciclica Laudato si’ può essere l’occasione giusta, il kairòs favorevole per rileggere le sue opere in modo meno superficiale.
I mistici hanno il tema della legge naturale, prima che esso trovasse una definizione nella teologia del secolo XIII. Questo può comportare incertezze espressive ma anche allargamento di visione. Vedono nel mondo Dio e l’autonomia che Dio ha generato nella creatura per mezzo del suo amore. Vedono la struttura delle cose, ma la vedono in movimento e vedono la congruenza di libertà e ordine, un ordine della natura che deve essere sempre nuovo. Ildegarda — che ha obiettivamente interessi naturalistici importanti e scrive di medicina e di botanica — supera tutti in questo. Per lei la legge della natura corrisponde a un ordine, ma è più un ritmo che uno schema, è una continua invenzione divina; certo ha una sua logica, che è però logica della creatività. Per questo Ildegarda ama il verdeggiare del mondo, ma anche la musica. Sente tutto suonare e risplendere. Nel suo trionfo la natura resta natura, mentre si prepara alla grazia a cui è destinata. Ha per condizione la vita divina, non perché Dio sostituisca la vita della natura, ma perché è proprio dell’onnipotenza dell’amore divino il porre insieme l’unità e l’alterità della creatura. È la gelosia di Dio che rende il mondo libero e dotato di un suo senso sempre da ritrovare. E il primo compito dell’uomo è la vita virtuosa nella natura, secondo il precetto di Hadewijch di Anversa: «L’amore non si può insegnare, ma le virtù preparano l’amore».
Nel libro si parla diffusamente anche dell’amicizia e della stima intellettuale tra Ildegarda e Bernardo di Chiaravalle.
Bernardo ha confortato Ildegarda e l’ha esortata a scrivere le sue visioni. È un riferimento assoluto per la storia della mistica, avendo reintrodotto il linguaggio dell’amore umano per esprimere la comunicazione teandrica. In Bernardo però la componente monastica resta forte, come se l’amore divino portasse la creatura fuori da sé stessa. Nella sua intesa con Ildegarda, Bernardo rende attive certe componenti della sua intuizione, rendendo possibili nuove forme della vita religiosa: Ildegarda è una donna, una donna che si oppone ai monaci che sovrintendono alla sua comunità e che avrebbero voluto condizionarne l’esistenza. Predica e intraprende dei viaggi di predicazione nella valle del Reno, lasciando dunque il suo monastero. Esprime la vita mistica in una molteplicità di forme nuove. Con lei la santità non sembra più essere condizionata all’estraneamento dal mondo e il linguaggio dell’amore divino sperimenta con lei forme nuove. Rappresenta la forma più avanzata e consapevole di molte delle intuizioni di Bernardo.
Le scrittrici mistiche sono presentate nel libro come «novità rivoluzionaria». Di che genere di rivoluzione si tratta?
Come molte categorie efficaci questa è ricavata abbastanza semplicemente dal rilievo obiettivo dei dati di fatto. La mistica come esperienza di contemplazione, come esperienza dell’amore di Dio per l’uomo e di comunicazione tra l’uomo e Dio, è presente in tutta la storia cristiana e la sorregge, ma con la letteratura femminile del secolo XII vi è per la prima volta il racconto della trasformazione in cui tutta la persona è coinvolta. Mette in gioco elementi che erano ai margini: il corpo, la scrittura come possibilità degli analfabeti, il Dio amante che vive l’innamoramento per donne che a volte non vivono neanche la condizione monastica e se la vivono sono semplici monache, ultime nella loro condizione eppure predilette. Questa è un’invenzione assoluta, caratteristica della vita spirituale del mondo latino, sconosciuta in ogni altra tradizione. La novità ha due versanti decisivi. Sul piano puramente umano, inventa una figura di intellettuale non vincolato al potere e senza legami istituzionali e che non fonda la sua autorità su nient’altro che l’esperienza: un autore senza canone insomma. Sul piano dello Spirito, la mistica rappresenta la figura divina più alta tra tutte quelle sperimentate: l’alterità assoluta si conosce solo perché rivelata, si rivela solo perché ama, e se ama, ama la persona per quello che è ed essa è soprattutto libertà, libertà che nello stesso tempo Dio fonda e lascia vivere come se fosse autofondata. Questa è l’opera raccontata dalle mistiche, dell’Altissimo nell’umiltà: il Regno di Dio è veramente vicino all’uomo. Peraltro in questa scoperta delle mistiche è sorprendente come la scoperta dell’intima vicinanza con Dio corrisponda a una rinnovata comprensione della necessità dell’Eucaristia, come atto divino che coinvolge il corpo e la storia e dunque possibile solo nella Chiesa storica, indipendentemente dalle qualità della Chiesa e anche dal suo potere. È straordinario vedere come Francesco d’Assisi sia accompagnato da questo coro europeo di donne.
Altri progetti in cantiere?
Il libro è il primo di due volumi: stiamo preparando il secondo, che avrà le stesse caratteristiche di questo — per ogni autrice si danno brevi medaglioni, un’antologia in italiano e nelle lingue originali, una nota critica e bibliografica. Il primo è dedicato ai secoli XII e XIII, il prossimo si occuperà dei secoli XIV e XV, dove la tradizione mistica femminile europea continua e si imbatte in una crisi storica fortissima della Chiesa e cerca di sostenere la Chiesa, anche se qualche volta deve sopportare l’incomprensione e la violenza dell’ufficio ecclesiastico. Tuttavia il nostro progetto anche più importante è quello indicato da Antonella Degl’Innocenti e da Alessandra Bartolomei Romagnoli nei loro saggi introduttivi: fare in modo che tutti questi testi siano finalmente editi e commentati secondo quanto la critica del testo e la critica storica richiedono. Questo è necessario. È un contributo importante perché l’Europa torni a porsi il problema intellettuale di Dio e dell’umanità, dando ai discorsi su questi soggetti la dignità del discorso scientifico, pur nelle forme di scienza che a loro è possibile. Un approccio scientifico ai testi mistici, così eccentrici, così sperimentali, così diversi dalle immagini consuete del passato, aiuta a comprendere che anche i discorsi sul senso della nostra vita, della nostra libertà, possono trarre vantaggio da un’elaborazione intellettuale, fermo restando che «l’amore non si può insegnare, ma le virtù preparano all’amore».
«Il libro — scrivete nei ringraziamenti — è dedicato alla memoria di Claudio Leonardi e in suo omaggio è stato realizzato. Per una volta, i limiti del nostro lavoro non ci dispiacciono del tutto, nel senso che essi sono qui anche una manifestazione ulteriore di quanto il suo riferimento ci manchi».
Abbiamo fatto di tutto perché il libro uscisse entro il 21 maggio di quest’anno, nel quinto anniversario della morte di Leonardi e in suo omaggio. Il lavoro intellettuale che ha svolto è il nostro riferimento e riteniamo che abbia un’importanza decisiva in questi tempi di guerra che viviamo, in cui la vita intellettuale cerca di nuovo il suo senso e la sua dignità. È veramente un modello della vita intellettuale, capace di comunicare molte energie; capace di insegnare un mestiere, ma anche il suo senso. Tutti coloro che hanno lavorato a questo libro sono stati a lui legati personalmente. È inevitabile che al sentimento della responsabilità scientifica si unisca la nostalgia. Fermiamoci a questo mio errore: Leonardi mi avrebbe sicuramente rimproverato, per la nostalgia.