La Bibbia insegna che nei momenti cruciali della storia d’Israele è sempre una donna a imprimere la svolta decisiva agli avvenimenti. Basta pensare alla sapiente strategia attuata da Sifra e Pua, le levatrici israelite che, sfidando apertamente l’ordine del faraone, proteggono la vita dei neonati. Il faraone, temendo per il suo potere, decide dapprima di fiaccare gli Ebrei costringendoli a un pesante lavoro e poi di ucciderne tutti i neonati. Sono ordini promulgati dalla massima autorità dell’impero, ordini che impongono la soppressione degli innocenti. Per il faraone la vita stessa del popolo è una minaccia e vuole soffocarla ad ogni costo. Ma le levatrici temono Dio, e temere Dio significa rispettare la vita. Non temono di rischiare la propria vita per salvare quella degli innocenti. Ignorano l’ordine del faraone perché quell’ordine attenta alla vita: riflette una logica di morte che nessuna donna potrebbe mai accettare. Se il faraone tenta di sopprimere la vita, le due levatrici la favoriscono. Sifra e Pua, due donne sapienti, due vere professioniste della vita, due continuatrici dell’opera di Dio in favore della vita.
Dopo di loro molte altre donne hanno scelto e continuano a scegliere la vita, anche quando questo significa rischiare la propria vita o vivere nella paura, sotto continue minacce. È il caso di due religiose, le cui storie hanno fatto il giro del mondo in brevissimo tempo. Mi riferisco a Geneviève Uwamariya, della comunità di Santa Maria di Namur in Ruanda, uditrice alla II Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, e alla salesiana Doris Barbero, responsabile della scuola elementare San José nel villaggio di Leava, Samoa Occidentale.
La religiosa ruandese aveva perso il padre e altri familiari nel genocidio che insanguinò il suo Paese nel 1994. Tre anni dopo si trovò a far visita a un gruppo di detenuti, tra i quali c’erano alcuni degli autori materiali del genocidio e tra di essi il carnefice della sua famiglia, un vecchio amico d’infanzia. Sentendolo riconoscere il suo delitto e chiedere perdono, Geneviève lo abbracciò e gli disse: “Sei e sarai sempre mio fratello”. Parole di perdono, riconciliazione e autentica liberazione. Da quel momento, per entrambi incominciò una nuova vita.
La maestra salesiana riuscì a salvare la vita di 320 bambini e ragazzi con una decisione rapida e coraggiosa. In pochissimo tempo riunì tutti gli alunni della scuola e li condusse in montagna, senza la minima idea del destino che li attendeva. Riuscirono così a salvarsi dallo tsunami che devastò praticamente tutta l’isola di Samoa.
Eredi delle donne della Bibbia, Geneviève e Doris sono diventate una testimonianza vivente della Paola di Dio, una testimonianza in favore della vita e generatrice di vita.
Nuria Calduch-Benages, MN