Settembre- Ottobre 2009: "A cosa ci chiama la Caritas in Veritate"

Con data 29 giugno 2009, lo scorso 7 luglio è stato reso di pubblico dominio il testo della Caritas in veritate, la tanto attesa enciclica sociale di Benedetto XVI, pubblicata quarantadue anni dopo la Populorum progressio (1967) e diciotto dopo l’ultima enciclica sociale di Giovanni Paolo II, la Centesimus annus (1991). Era giunto ormai il momento di un nuovo pronunciamento del Magistero su temi sociali, soprattutto se guardiamo alla diffusa situazione di insicurezza generata dalla crisi economica.

Leggendo l’enciclica dal punto di vista della “Sezione donna” si impongono alcune considerazioni. Non si trovano paragrafi o riflessioni direttamente riferiti alla donna; il termine “donna” (o “donne”) appare sei volte tra le 31.278 parole che compongono l’enciclica. In cinque casi su sei si trova nel sintagma “uomo e donna” o “uomini e donne”. Non compaiono termini come “femminile” o “femminista”. Invece, il termine famiglia ricorre 32 volte, una volta nel titolo del quinto capitolo: «La collaborazione della famiglia umana». Cosa ci dicono queste semplici constatazioni numeriche?

L’enciclica Caritas in Veritate è estremamente ricca di significato. Le proposte sociali si fondano sulla profonda visione antropologica propria della Chiesa, esperta in umanità. Il Santo Padre non teme di proporre al mondo dell’economia e della politica alcune verità sull’uomo, indispensabili se si vuole costruire una società più giusta, nella carità: una società più «a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione» (BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Caritas in Veritate, 9); non esita ad affermare che questo e non altro è il giusto cammino per un vero sviluppo.

Non c’è dubbio che l’impostazione «a misura dell'uomo» si dimostrerà particolarmente congeniale alle menti e ai cuori delle donne, cui Dio «affida in un modo speciale l'uomo, l'essere umano» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, 30). Il Santo Padre ci chiama a comprendere il nostro impegno e la nostra azione come servizio all’umanità. È una chiamata che risuona con forza specialmente per noi donne, che conosciamo bene la nostra particolare vocazione a creare uno spirito di famiglia dovunque ci troviamo.

Le parole dell’enciclica riecheggiano quelle rivolte dal Santo Padre ai movimenti cattolici per la promozione della donna a Luanda, nel marzo scorso: «In un mondo come l’attuale dominato dalla tecnica, si sente bisogno di questa complementarietà della donna, affinché l’essere umano vi possa vivere senza disumanizzarsi del tutto». Il modello di sviluppo prospettato dall’enciclica, essendo centrato e configurato sull’essere umano, di fatto sottolinea in modo ancor più marcato l’esigenza di una collaborazione tra uomini e donne vissuta in una relazione di complementarità.

Durante quello stesso discorso il Santo Padre ha affermato che «le donne, sulla base della loro dignità pari a quella degli uomini, hanno pieno diritto di inserirsi attivamente in ogni ambito della vita pubblica, e il loro diritto deve essere affermato e protetto anche mediante strumenti legali, là dove questi appaiano necessari». D’altra parte «la presenza materna all’interno della famiglia è così importante per la stabilità e la crescita di questa cellula fondamentale della società, che dovrebbe essere riconosciuta, lodata e sostenuta in ogni modo possibile» (BENEDETTO XVI, Incontro con i movimenti cattolici per la promozione della donna, 22 marzo 2009). Alcuni commentatori hanno rilevato che l’enciclica, parlando del mondo del lavoro, sembra considerare un fatto scontato la presenza della donna, senza offrire alcuna riflessione critica a riguardo. La presenza della donna in effetti è avvertita come parte della realtà del mondo contemporaneo. Ed è vero che noi donne siamo già pienamente presenti nel mondo, partecipiamo pienamente ad esso, stiamo dando il nostro contributo alla società. La nuova enciclica è un’occasione per interrogarci: è il momento di comprendere meglio la nostra identità e di domandarci se la nostra presenza manifesti la nostra fedeltà al “genio femminile” (Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem, 30 e 31), al “carisma profetico” (Cfr. ibid., 29) della nostra femminilità; se stiamo offrendo il meglio di noi stesse; se stiamo contribuendo, ciascuna secondo le proprie possibilità, a rendere il mondo una grande famiglia.

In questo momento così difficile, la Chiesa chiama tutti – uomini e donne – a offrire il nostro contributo particolare, lavorando per uno sviluppo integrale che comprenda la dimensione trascendente della persona, uno sviluppo che tenga conto della libertà e della responsabilità di ciascuno, per creare “un ambiente familiare” attento alla persona, immettendo le categorie di fiducia e solidarietà nel mercato perché compia meglio la sua funzione; per ricordare che ogni decisione in economia ha il suo peso morale, creando un modello di economia di mercato che includa tutti i popoli; per aprirci a un’economia che includa la possibilità della gratuità e della comunione; per prenderci cura della vita e proteggerla, contribuendo a realizzare una “apertura alla vita in modo moralmente responsabile” riconoscendo in essa “una risorsa sociale ed economica”. Ci chiama anche a testimoniare ai giovani la bellezza del matrimonio e della famiglia, ad arricchire col nostro contributo le potenzialità dell’umanità verso una maggiore disponibilità allo scambio e alla comunicazione…

In un passaggio tra i più profondi e interessanti, l’enciclica lamenta un deprecabile vuoto di idee (n. 53) e invita ad approfondire la categoria di relazione come chiave per il futuro dell’umanità: un’umanità che sembra molto più interconnessa che in passato, nella quale però, paradossalmente, la solitudine è una delle forme più diffuse e dolorose di povertà sperimentate dall’uomo contemporaneo. Il Santo Padre ci invita ad approfondire la comprensione delle relazioni interpersonali e la loro centralità per comprendere chi l’uomo sia e come si debba costruire una società che lo favorisca e lo protegga.

L’enciclica dunque chiama tutti, uomini e donne, a ri-pensare il nostro operare nel mondo. Il tipo di sviluppo prospettato dalla Caritas in veritate, basato sulla carità conformata alla verità, pone l’uomo al centro. L’appello dell’enciclica risuona con forza e va in cerca menti e cuori disposti ad accoglierlo e farlo proprio. Noi donne ci sentiamo in modo speciale sollecitate a rispondere a questa chiamata, proprio per la nostra vocazione alla maternità fisica e spirituale, per la nostra sensibilità particolare.

Ana Cristina Villa Betancourt

Magistero Pontificio

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