Sposati e sii sottomessa

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Alcune considerazioni dopo una rapida lettura di un libro da non sottovalutare

Recentemente è stato pubblicato da Vallecchi un libro di Costanza Miriano, giornalista Rai, dal titolo assai intrigante: “Sposati e sii sottomessa. Pratica estrema per donne senza paura”. 

La lettura non delude le attese. La prosa è brillante, spiritosa e gli argomenti molto interessanti. Il libro si presenta come una raccolta di lettere ad amiche e amici, seguite ciascuna da alcune pagine di riflessione basate sulla propria esperienza personale. I destinatari della corrispondenza rappresentano il “senso comune” oggi imperante, fortemente segnato dall’apparato ideologico femminista della contrapposizione tra i sessi sfociante nel lacerante ossimoro competizione / omologazione, da cui i necessari corollari del rifiuto del matrimonio e dei figli, dell’annullamento della distinzione dei ruoli sponsali e genitoriali, dell’impossibilità di assunzione di una responsabilità educativa, nonché dell’esaltazione del ruolo professionale della donna come unica via di realizzazione personale. Il tutto condito da un petulante vittimismo. 

L’autrice tratta della questione femminile non in astratto, ma nel contesto della vita affettiva e familiare, quindi esamina i rapporti tra i due sessi, il matrimonio, i figli e l’educazione, il ruolo della madre e del padre, le difficoltà concrete che devono affrontare le donne nella società di oggi.

Costanza Miriano è una donna professionalmente inserita ad alti livelli, ed è una sportiva tenace, capace di eccellere in una disciplina non propriamente “femminile” come la maratona, ma è anche moglie felicemente sposata con (per ora) quattro figli. Una donna totalmente moderna, in grado però di smascherare le menzogne che condizionano pesantemente il nostro mondo, scavando abissi di infelicità personale e sociale. La capacità critica le viene dalle categorie cristiane che ha assunto a livello esistenziale prima ancora che teoretico: seguire Cristo nella sua vita ha funzionato, seguire idee o schemi di vita diversi, anche se molto diffusi, non ha funzionato. Partendo da questa implicita constatazione sperimentale, sempre presente in sottofondo, la Miriano dipana un’analisi impietosa e molto efficace di un sistema di pensiero che un po’ tutti, più o meno consapevolmente, condividiamo. Anche se cristiani.

Il concetto centrale, o almeno quello più provocatorio, è enunciato sin dal titolo: la sottomissione, parola raccapricciante per le orecchie post-femministe della nostra generazione. Ma l’autrice non ha paura del termine, ha infatti sempre davanti agli occhi la sottomissione di Cristo al Padre, quindi a noi, ai nostri bisogni, scelta liberamente, voluta fino alle ultime conseguenze esclusivamente per amore. Dunque non un atteggiamento subito per un’imposizione sociale e tanto meno generato da una scarsa autostima. Al contrario, l’espressione piena della sua potenza divina, dell’amore che vince la morte. La sottomissione di Cristo assurge a chiave e paradigma di ogni rapporto che non vuole scadere in una effimera e meschina relazione di do ut des. Secondo la nostra autrice, proprio alla donna è affidato il compito decisivo di innescare il circolo virtuoso della sottomissione reciproca. Perché l’uomo, marito, padre, figlio che sia, possa ritrovare il suo posto, il suo ruolo, vale a dire il luogo della sua sottomissione, ha bisogno di vedere quest’amore nella donna. Questa vocazione è presentata come l’espressione più alta del carisma, del “genio” femminile, proprio perché totalmente cristologica.

Ancora. Le armi dell’autrice sono l’ironia e il paradosso, ma non si tratta di meri artifici retorici. Su questo conviene soffermarci un poco. Il gusto del paradosso viene direttamente dall’osservazione del reale, con le sue luci e le sue ombre, cui la Miriano ha completo accesso grazie all’esperienza concreta maturata nel suo incontro con il Signore, un’esperienza che include errori e debolezze, riconosciuti senza paura alla luce della misericordia di Dio, che perdona e risolleva. Il paradosso non è dunque un espediente letterario estrinseco, ma la descrizione obiettiva della realtà dell’umanità di oggi, costretta in un delirio pseudo-libertario a imboccare ossessivamente le medesime vie senza sbocco nell’illusione di trovare anche un solo istante di una felicità. È il paradosso di voler vivere rinunciando nei fatti a vivere: a scegliere, a donarsi, a sposarsi, ad accogliere, a resistere, a perdonare, ad assumere il proprio ruolo, ad essere…  L’ironia di Costanza Miriano non è mai sarcasmo, è assai benevola, ed è necessaria per descrivere un tale paradosso senza sprofondare nella disperazione, altro tratto assai tipico, anche se sottaciuto, della cultura contemporanea. L’ironia è tanto più efficace in quanto si tratta prevalentemente di auto-ironia, uno sguardo dell’autrice su se stessa, sui suoi fallimenti, sulle sue disillusioni, sulle sue difficoltà e persino sui suoi dubbi, uno sguardo però da cristiana, cioè da risorta. I fallimenti dell’autrice sono gli stessi nostri, delle donne e degli uomini del nostro tempo, ma visti alla luce di un’esperienza di vita e di fede di chi tante volte ha saputo affrontarli e superarli, dando sostanza a una speranza che non è più illusione. 

Un’osservazione ancora per concludere. Costanza Miriano è donna cattolica e laica, nel senso nobile del termine; un bell’esempio di cosa significhi l’oscura locuzione ecclesiastica “indole secolare dei fedeli laici”. In lei la critica alle categorie della nostra mentalità e al femminismo in particolare non è distruttiva. L’autrice sa bene di appartenere allo stesso mondo che critica, ne condivide moltissimi aspetti, alcuni a malincuore, come l’organizzazione del lavoro decisamente ostile alla vocazione della donna, altri volentieri, come la libertà nella vita sociale, un tempo inconcepibile per la donna. Ciò che colpisce è la lucidità di discernere tra gli aspetti deleteri di questo mondo secolarizzato e gli orientamenti che un cristiano deve saper cogliere e valorizzare, orientandoli al bene. Non compromessi, ma critica impietosa alla menzogna e accoglienza sincera di ciò che è vero. Questo è l’atto generativo della vera cultura cristiana, l’autentica inculturazione della fede, il metodo che ci hanno insegnato i Padri della Chiesa: trasformare dall’interno la mentalità e la filosofia del mondo per farne intelligenza cristiana. È il principio stesso dell’incarnazione: il Verbo ha assunto tutto dell’uomo, fragilità compresa, ma non il peccato. Costanza Miriano muovendosi in questa linea né rimpiange né condanna le società del passato, quando i ruoli erano quasi obbligati e alla donna toccava necessariamente un posto socialmente subordinato. Coglie invece tra gli orrori del nostro tempo la bellezza del nuovo, la possibilità per la donna cristiana di scegliere liberamente la propria vocazione di accoglienza nell’umiltà e nell’amore: non retroguardia, ma avanguardia dell’umanità nuova, al modo di Maria Vergine e Madre.

Mons. Antonio Grappone

Magistero Pontificio

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