L’olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio, a cura di LIVIO MELINA – CARL A. ANDERSON, Siena 2009 (pagg. 292) non è un libro come comunemente inteso, ma la raccolta dei vari interventi che si sono succeduti durante il Congresso Internazionale, titolato alla stessa maniera e promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, in collaborazione con i Knights of Columbus, conclusosi con l’incontro con il Santo Padre Benedetto XVI nell’udienza del 5 aprile 2008.
Il lettore, pertanto, prima di affrontare la lettura del testo, deve porsi nell’atteggiamento di chi si accosta ad un qualcosa di eterogeneo, anche se, al fondo di ogni intervento, c’è la volontà per ogni particolare studioso, se non addirittura professionista, di concorrere a «trovare modi concreti per sviluppare una risposta pastorale più efficace per coloro che soffrono: una risposta che permetta di alleggerirne il dolore e guarirle attraverso il ministero della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà» (cf. pag. 5). Ed ognuno degli autori ha tenuto fede a questo impegno sia analizzando profondamente, dalla propria particolare visuale, le molte sfaccettature di questi due devastanti fenomeni della realtà attuale sia illustrando i sostegni che la Chiesa, nei suoi rappresentanti ministeriali e non, sta approntando, secondo il suo mandato divino di aiuto misericordioso agli afflitti di ogni condizione e genere.
Misericordioso perché colui che versa vino e olio sulle ferite dell’uomo è la Misericordia stessa incarnata in Gesù Cristo (cf. pag. 10) ed allora il prodigarsi della Chiesa, come singoli e come istituzione, verso i feriti non è una semplice, seppur lodevole, filantropia, ma il rendere presente in ogni tempo e in ogni luogo la buona novella del Divino Maestro. È Lui, che, come magistralmente ha interpretato nel suo quadro, copertina del libro, Van Gogh, solleva di peso il malcapitato come una volta sollevò il peso della croce e, in questo atto, il volto del soccorritore quasi si cela per lasciare in primo piano solo il volto onnipresente della sofferenza.
Con dovizia di documentazioni e testimonianze i vari contributi illustrano le rovine che portano il divorzio e l’aborto non solo nella sfera privata, ma anche in quella sociale, aspetti alcuni noti altri meno, ma sui quali il credente deve interrogarsi perché questi due fenomeni, dilaganti ed ambigui a causa della propaganda, neanche tanto subdola, portata avanti da tutte le fonti di informazione, stanno interessando anche le famiglie apparentemente di più stretta osservanza, come esemplificato anche in alcuni degli scritti. È questa una faccia di quel relativismo imperante, più volte denunciato da Benedetto XVI, relativismo che pone l’io al di sopra e al di fuori dell’altro, chiunque sia: il partner, i figli, i genitori, gli amici. L’io diventa così il metro di ogni intendimento e di ogni scelta e si perde la memoria dell’essenza del cristianesimo, che, non indifferente al sé, pone come imprescindibile la cura dell’altro, perchè è lo stesso Gesù Cristo, che, nella parabola matrice del titolo del Congresso, non fa altro che dare risposta alla domanda antica: «Sono forse il guardiano di mio fratello?» (Gen 4,9) e indicare a noi credenti l’atteggiamento nei confronti dell’altro, chiunque altro.
Certamente la Chiesa, come istituzione, non può che promuovere ed approvare i vari movimenti, per lo più a base laicale, che si consolidano nella realtà odierna dei gruppi d’ascolto e sostegno, ma ciò non dispensa, ed anzi la Chiesa sollecita, ogni singolo a sentirsi partecipe delle difficoltà del prossimo, nella vita di ogni giorno, sul posto di lavoro, come nell’ambiente di residenza, nei vasti condomini che hanno preso il posto delle piccole frazioni di paese, dove tutti conoscevano tutti e tutti partecipavano al tutto, magari con una parola, con un sorriso, un semplice gesto d’attenzione fraterna. Non è una favola che a volte basta poco per scongiurare immani disastri, anche se dobbiamo essere sempre pronti con l’olio e il vino, perché il male inventa incessantemente nuove forme di rovina.
Anna Talini