Intervista di Radio Vaticana a Barbara Pandolfi, Uditrice al II Sinodo per l’Africa

Non c’è sviluppo in Africa senza riconoscimento della parità tra uomo e donna. Un concetto, questo, più volte ribadito al Sinodo. Qualcosa a livello sociale sta cambiando e oggi molte realtà ecclesiali in Africa promuovono i diritti delle donne. Lo conferma Barbara Pandolfi, uditrice al Sinodo e presidente dell’Istituto  Secolare Missionarie della Regalità di Cristo. 

Paolo Ondarza l’ha intervistata.  

R. – Sicuramente, la donna in Africa ha un ruolo rilevante per quello che riguarda la vita economica, la vita sociale, la vita nei villaggi. E’ la sua presenza che, per esempio, dà stabilità alla famiglia, è la sua presenza che dà continuità anche al sostentamento stesso della famiglia attraverso il suo lavoro. E’ lei che si occupa del lavoro dei campi, dei bambini ed è una presenza altamente significativa anche all’interno della Chiesa: spesso anima, con la danza e con i canti, la liturgia e guida anche delle comunità. Sicuramente ci  sono dei cambiamenti. Sono dei cambiamenti forse ancora piccoli, nascosti, che riguardano soprattutto la consapevolezza che la donna ha di se stessa. Grazie anche all’intervento di molti gruppi e associazioni ecclesiali che aiutano in questo, favoriscono la consapevolezza del ruolo della donna stessa e della sua dignità, che talvolta però è messa in discussione dal non rispetto, anche dalla  violenza che la donna subisce, e dalla cultura talvolta maschilista nella quale essa si trova coinvolta. 

D. – Le donne africane, che comunque sono state abituate a ricoprire finora una posizione – appunto – di subordinazione, quanta capacità hanno di accogliere il messaggio di promozione della donna? 

R. – Molte di loro hanno questa capacità. Loro, di fatto, hanno in parte condiviso le tradizioni dei loro Paesi ma in parte le hanno anche subite. Ci sono molte donne che vivono la poligamia come una disgrazia: non l’hanno scelta, è loro capitata, la devono subire ma vorrebbero liberarsene, così come di altre situazioni di ingiustizia. Poi, credo che ormai ci siano modelli diversi, in Africa: donne che hanno incominciato a lavorare e ad essere valorizzate sia sul piano sociale sia sul piano ecclesiale dei diritti umani. Molti gruppi, anche  della Chiesa, riconoscono alla donna un effettivo valore e quindi le danno anche sicurezza, quell’autostima che è necessaria perché possa emergere e possa anche lottare. 

D. – La donna africana che cosa ha da offrire come modello, a quella occidentale? 

R. – La cosa che impressiona di più, quando incontriamo le donne africane, è la loro grande forza di vivere: la forza di cantare e di danzare in qualunque situazione della vita. E anche cogliere il senso profondo e la forza che la vita è in se stessa. Io credo che questa  sia la grande ricchezza che le donne africane possono dare, insieme alla capacità di accoglienza, questa capacità di condivisione. Capita, qualche volta, che in un villaggio non ci sia niente da mangiare, ma quando arriviamo le donne condividono quel che hanno: una pannocchia di mais, un piatto di manioca… 

D. – Qualcuno tra i Padri sinodali ha usato un’immagine significativa: di una donna, Maria, che ha portato Gesù all’Africa, con un evidente riferimento alla fuga in Egitto; e ha detto: “Oggi le donne africane continuano ancora a portare Gesù all’Africa”

R. – Davvero! La donna è portatrice di un messaggio, di una profezia e in Maria anche della Parola che si fa carne. Per le donne africane, questo credo che si realizzi, e in molti modi. Il primo modo è attraverso la loro fede: hanno  un senso profondo di Dio, della presenza di Dio nella vita. Molte donne sono portatrici di un messaggio di pace, di riconciliazione; hanno saputo ricostruire la famiglia che magari è composta da figli provenienti da unioni diverse, hanno saputo spesso accogliere figli frutto di violenza … Quindi, veramente, le donne anche nella società possono davvero portare il messaggio evangelico, in alcuni casi le donne sono anche  catechiste. Questo aspetto sarebbe da sviluppare maggiormente, in Africa. 

D. – Vorrei concludere questa intervista con un’immagine che lei ha usato nel suo intervento, un’immagine che deriva dalla Genesi

R. – Nel racconto della Genesi, la prima divisione nel genere umano è stata proprio quella fra uomo e donna: l’uomo che accusa la donna, la donna che spinge l’uomo a commettere il peccato, e questa comunità d’amore che l’uomo aveva poche righe prima cantato, dicendo: “Questa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa”, si spezza. E’ conseguenza del peccato. E questo peccato porta l’uomo a dominare la donna. Ecco: credo che la riconciliazione arrivi proprio nel superamento di questo dominio. E arriva nel riconoscere la diversità  come ricchezza, e non attraverso un rapporto di potere, di dominio, di violenza.

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