Africa: l'ora delle donne

di Aldo Maria Valli  

La voce delle donne irrompe nel sinodo dei vescovi africani in corso in Vaticano, ed è una voce che denuncia ma dà anche speranza. 

«La donna africana è emarginata a tutti i livelli», denuncia suor Pauline Odia Bukasa, della Repubblica democratica del Congo.  «È quasi esclusa dal processo di sviluppo del continente, è vittima degli usi e costumi ancestrali ed è lei a  portare il peso dei conflitti armati. In questo momento, in cui la Chiesa in Africa si impegna a lavorare per la riconciliazione dei suoi figli e delle sue figlie, la donna non può più essere ignorata». 

Le donne, con il loro dinamismo e  il loro coraggio, sono una risorsa da capitalizzare, dice suor Pauline. In tutti i campi: dalla famiglia alla sanità. E lo sono a maggior ragione nella costruzione della pace, perché il loro ruolo educativo e sociale è determinante. In altre parole, non si può approdare a una reale riconciliazione senza coinvolgere la donna. E questo vale anche per la vita della Chiesa. 

L’appello di suor Pauline ai vescovi è accorato: «Pur riconoscendo gli sforzi che già mettete in atto a favore della dignità della donna, noi, le vostre mamme e donne  consacrate, chiediamo a voi vescovi nostri padri in questa Chiesa famiglia, di promuovere la dignità della donna assicurandole gli spazi necessari perché possa  sviluppare i propri talenti all’interno delle strutture ecclesiali e sociali». 

Altre richieste elencate con forza dalla suora sono: promuovere le associazioni e le ong femminili che già lottano per la promozione umana della  donna mediante l’alfabetizzazione e l’educazione; istituire e potenziare le scuole cattoliche per dare ai giovani e alle giovani un’educazione ispirata ai valori cristiani e africani e far capire l’importanza della famiglia; denunciare ogni violazione della dignità femminile e dire “ad alta voce” ai responsabili delle violenze che saranno chiamati a risponderne davanti a Dio. 

Una testimonianza toccante di come l’odio e la guerra tormentato l’Africa, ma anche di come ci sia spazio per la riconciliazione e il perdono, è venuta da un’altra donna, suor Geneviève Uwamaryia, del Rwanda, sopravvissuta al genocidio dei tutsi nel 1994 e coinvolta dalle Dame della misericordia divina in un progetto per i detenuti. Portata, insieme ad altre donne vittime di violenze, in un carcere della sua città pieno di responsabili dei massacri, le fu chiesto di offrire il suo perdono aiutando gli uomini lì rinchiusi a liberarsi  dai sentimenti di odio e di vendetta. Accettata questa difficile missione, un giorno si trovò di fronte un uomo in ginocchio e in lacrime. Racconta suor Geneviéve: «Era colui che aveva ucciso mio padre, e ora implorava perdono. M’invase un sentimento di pietà e di compassione. 

Rialzai quell’uomo, lo abbracciai e gli dissi: sei  e rimani mio fratello».  Da quel giorno la suora percorse chilometri per consegnare centinaia di lettere di detenuti che chiedevano perdono ai parenti degli uccisi. E molti altri progetti, spiega, sono stati realizzati, come un villaggio, costruito dai detenuti, per vedove e orfani del genocidio. 

«Dopo queste esperienze – dice suor Geneviève – penso che la riconciliazione non consista tanto nel rimettere insieme persone o gruppi, quanto nel rimettere tutti in contatto con l’amore e lasciare che avvenga la guarigione interiore. E in questo sta l’importanza della Chiesa, che ha come missione proprio quella di offrire la parola che guarisce, libera e riconcilia». 

Nell’Africa profonda, come ha denunciato il papa nel corso del viaggio in Camerun e in Angola, spiritismo e stregoneria mantengono ampie porzioni del popolo in uno stato di paura, e spesso sono proprio le donne a farne le spese. La caccia alle  streghe in certi territori è ancora viva, dice monsignor Augustine Obiora Akubeze, nigeriano. 

Alcune donne vengono abbandonate, altre sfigurate con l’acido, altre uccise con il veleno, e ci sono stati casi di donne sepolte vive. La Chiesa cattolica cerca di combattere questi crimini, ma ci sono altre Chiese cristiane, spiega monsignor Akubeze, che non fanno altrettanto. Come i pentecostali, che anzi volte si rendono corresponsabili di torture e uccisioni. 

Ma è sempre la guerra a produrre  gli orrori su più vasta scala, come dice monsignor Theophile Kaboy Ruboneka, vescovo coadiutore di Goma  nella Repubblica democratica del Congo: su migliaia di donne sono state perpetrate violenze di massa da parte di tutti i gruppi armati, in flagrante violazione delle disposizioni giuridiche internazionali. 

La poligamia e il dilagare dell’aids, è stato detto durante gli interventi in aula, sono altri fenomeni che rendono drammaticamente fragile la condizione della donna, spesso considerata non una persona ma una cosa. Dall’Africa il racconto di una spaventosa realtà al femminile ancora in larga parte ignorata, e di una Chiesa che se in molti casi è l’unico presidio a tutela dei diritti umani altre volte è troppo timida o reticente nella difesa di madri, figlie e sorelle. 

Magistero Pontificio

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