Quale luce sulla specificità dell’essere e sul ruolo della donna nella Chiesa e nel mondo ci offrono i due grandi Papi che stanno per essere canonizzati? Giovanni XXIII, che ha convocato il Concilio Vaticano II, e Giovanni Paolo II, il grande “Papa della famiglia”? Entrambi i Pontefici hanno parlato ampiamente sulla donna nei loro insegnamenti, aiutandola a diventare più consapevole della sua chiamata singolare nel mondo.
Ecco una breve sintesi di tre punti centrali, presenti nel loro insegnamento sulla donna:
La dignità della donna: essere creato dall’Amore per l’amore
Sembra che oggi parlare di dignità della donna sia ormai dato per scontato. Invece, nel mondo attuale, dove molte donne si trovano davanti alle nuove e sempre più crudeli pretese della società consumistica che minacciano profondamente la loro dignità – ad esempio, le donne sempre più giovani che sono sfruttate nel “turismo” del “traffico umano”, o coinvolte nell’industria pornografica sempre più “prolifica”, o le donne che si lasciano manipolare e utilizzare, mercificando il loro corpo con l’“affitto del loro grembo”, ecc. – in un tale mondo, esse hanno bisogno di sentire la voce forte e costante della Chiesa che parli loro della preziosità del loro essere.
La dignità della donna – fondata sul suo essere creata, insieme all’uomo, a “immagine di Dio” – e il suo riconoscimento nella società è un punto centrale degli insegnamenti sulla donna di Papa Giovanni XXIII e di Papa Giovanni Paolo II nel corso di tutto il loro Pontificato. Specialmente Giovanni Paolo II ci offre una luce unica per cogliere il profondo significato della dignità della donna, un concetto che non è mai astratto e sterile, ma è intimamente legato alla vocazione umana all’amore:
“La dignità della donna si collega intimamente con l’amore che ella riceve a motivo stesso della sua femminilità ed altresì con l’amore che a sua volta dona. Viene così confermata la verità sulla persona e sull’amore. Circa la verità della persona, si deve ancora una volta ricorrere al Concilio Vaticano II: «L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé» (Gaudium et spes, 24). Questo riguarda ogni uomo, come persona creata ad immagine di Dio, sia uomo che donna. L’affermazione di natura ontologica qui contenuta indica anche la dimensione etica della vocazione della persona. La donna non può ritrovare se stessa se non donando l’amore agli altri” (Mulieris dignitatem, 30).[1]
La dignità della donna è dunque intimamente collegata con l’essere creata “dal” e “per” l’amore. Giovanni XXIII, aveva già precedentemente chiamato la donna “custode dell’amore”, particolarmente quello sponsale e materno nella famiglia:
“Dono preziosissimo è la famiglia, che, fondata per divina disposizione delle diverse e complementari attitudini dei coniugi, trova nella donna la sua vigile custode. Alle donne pertanto raccomandiamo l’amore alla famiglia, intesa come naturale ambiente per lo sviluppo della personalità umana, e come provvidenziale rifugio, nel quale si placano e si addolciscono le tempeste della vita, si spengono gli allettamenti delle inclinazioni indisciplinate, e si combattono gli influssi dei mali esempi.”[2]
La doppia vocazione della donna nella Chiesa – di sposa-madre e di consacrata – è permeata dalla stessa chiamata: quella a vivere l’amore ricevuto in dono e a rispondere con un dono fecondo di sé agli altri.
Scoprire la propria dignità di donna, radicata in un Amore incondizionato, è la condizione indispensabile affinché essa possa accogliersi nell’amore ed accogliere anche gli esseri a lei affidati nell’amore. Solo in questo modo le donne di oggi potranno fermare la mentalità abortiva e contraccettiva che nega e tende a sradicare il desiderio profondo iscritto nel cuore di ogni donna di accogliere custodire con amore la vita.
Solo scoprendo di essere preziosa in se stessa, perché creata dall’eternità per amore, la donna potrà diventare “custode” dell’amore e della vita nel mondo.
Differenze uomo-donna, un tesoro da custodire
Se la dignità dell’essere donna è così intimamente collegata alla vocazione all’amore, i due Papi non si stancano di ricordarci – e l’esperienza umana lo conferma – che è un fatto caratteristico dell’autentico amore non cancellare, ma accogliere ed esaltare le differenze tra le persone, soprattutto quella esistente tra uomo e donna, una differenza di natura strutturale. L’amore vero non tende alla “fusione” dei due, ma alla promozione dell’altro in quanto tale, ponendo così le basi di una vera comunione delle persone: così come l’amore di una madre fa sì che ella gioisca quando il figlio sboccia e maturi la sua personalità; come l’amore di amicizia mette l’amico sempre più in condizione di essere se stesso, così anche l’amore uomo-donna diventa maturo solo quando le differenze smettono di essere un “campo di battaglia” e diventano luogo di vero incontro dei due e di crescita insieme, nella communio personarum, come amava ricordarci Giovanni Paolo II.
Giovanni XXIII indica con forza la bellezza raggiunta quando l’amore uomo-donna conserva e celebra la differenza complementare:
“Tuttavia la parità di diritti giustamente proclamata, se deve riconoscersi in tutto quello che è proprio della persona e della dignità umana, non implica in nessun modo parità di funzioni. Il Creatore ha dato alla donna doti, inclinazioni e disposizioni naturali che le sono proprie, o in grado diverso dall’uomo; ciò vuol dire che le sono stati assegnati anche compiti particolari. Non distinguere bene questa diversità delle rispettive funzioni dell’uomo e della donna, anzi la loro necessaria complementarità, sarebbe mettersi contro natura e si finirebbe per avvilire la donna e toglierle il vero fondamento della sua dignità”.[3]
È un errore grave dunque – e oggi ne subiamo le conseguenze – confondere l’inconfutabile pari dignità con l’uomo, con la tendenza a “uniformizzare” le qualità dell’uomo e della donna. Una cultura che non fa tesoro della specificità della donna e che si sofferma solo alla rivendicazione di una uguaglianza giuridica dei diritti, è una cultura incapace di promuovere una società dove la donna sia presente in quanto donna, con la sua immanente vocazione alla sponsalità e maternità – naturale e spirituale – e con le sue uniche capacità professionali. Infatti, negando le differenze tra l’uomo e la donna, la mentalità della “teoria del gender” tende a ridurre l’amore ad un mero sentimento che non è mai capace di costruire un futuro e di essere fecondo. Negando la ricchezza delle differenze, si entra dunque in una logica del “potere” e del “dominio” che viene applicata alle relazioni familiari e poi a quelle più ampie con il mondo.
Giovanni Paolo II ci regala una riflessione preziosa riguardo al tema della differenza:
La donna – nel nome della liberazione dal «dominio» dell’uomo – non può tendere ad appropriarsi le caratteristiche maschili, contro la sua propria «originalità» femminile. Esiste il fondato timore che su questa via la donna non si «realizzerà», ma potrebbe invece deformare e perdere ciò che costituisce la sua essenziale ricchezza. Si tratta di una ricchezza enorme. Nella descrizione biblica l’esclamazione del primo uomo alla vista della donna creata è un’esclamazione di ammirazione e di incanto, che attraversa tutta la storia dell’uomo sulla terra. Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque – come, del resto, anche l’uomo – deve intendere la sua «realizzazione» come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità, che ella ricevette nel giorno della creazione e che eredita come espressione a lei peculiare dell’«immagine e somiglianza di Dio» (Mulieris dignitatem, 10).
La logica del potere è dunque opposta alla logica dell’amore che “si spende” per gli altri, che Cristo ha istituito come via di liberazione dell’uomo e della donna dalla prigione del proprio egoismo. Pertanto, il ruolo dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo non è quello di seguire la mentalità odierna di ricerca del potere per il potere. L’uomo e la donna sono chiamati a seguire il Signore nella logica dell’amore che non “conteggia”, ma che sta al servizio degli altri nella specificità della propria vocazione e all’interno di tutti gli incarichi nella Chiesa.
La donna e l’umanizzazione del lavoro e della società
Una società dove scompare l’amore come fondamento delle relazioni interpersonali – soprattutto nella famiglia – e dunque dove si nega il ruolo relazionale della donna, è una società che diventa sempre più impregnata dal “calcolo”, dove non esiste più spazio per i deboli e i fragili che non sono “profit-making”.
Per questo motivo è imprescindibile per la donna recuperare la consapevolezza della propria dignità e della sua specifica capacità di rendere la famiglia e dunque la società un luogo di accoglienza d’amore della persona per se stessa. Giovanni XXIII parla del singolare modo della donna di trasformare il lavoro con la sua sensibilità materna:
Quale contributo potrebbe essa offrire alla società, se fosse messa in grado di impiegare più convenientemente queste sue preziose energie, specialmente nel campo educativo, assistenziale, religioso ed apostolico, e trasformare così la sua professione in tante forme di maternità spirituale! Anche oggi il mondo ha bisogno di sensibilità materna, per prevenire e dissipare quella atmosfera di violenza, di grossolanità, in cui talora gli uomini si dibattono.[4]
E ancora:
Il progressivo salire della donna a tutte le responsabilità della vita associata richiede il suo attivo intervento sul piano sociale e politico. La donna, non meno che l’uomo, è necessaria per il progresso della società, specialmente in tutti quei campi che esigono tatto, delicatezza ed intuito materno.[5]
La società ha bisogno della presenza accogliente e relazionale della donna, una presenza che manifesti il “genio” femminile, come amava chiamarlo Giovanni Paolo II:
Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere in grado finora sconosciuto un benessere materiale che, mentre favorisce alcuni, conduce altri all’emarginazione. In tal modo, questo progresso unilaterale può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto i nostri giorni attendono la manifestazione di quel «genio» della donna che assicuri la sensibilità per l’uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo! E perché «più grande è la carità» (1 Cor 13, 13)(Mulieris dignitatem, 30).
Il “genio” della donna per il mondo di oggi, governato dall’ideologia del progresso tecnologico, è soprattutto quello di essere segno di amore autentico, ricordando alla società che ogni persona, benché non sia “efficace e utile” – come nel caso del disabile, dell’anziano, del bambino nel grembo, ecc. – è degna di essere amata per se stessa perché è nata dall’Amore per l’amore. Per questa ragione Giovanni Paolo II afferma che Dio affida l’essere umano in modo speciale alla donna (MD, 30) per accoglierlo per se stesso senza misure e condizioni, ma rispecchiando lo stesso Amore divino che è all’origine di ogni essere umano.[6]
La ricca riflessione sulla donna dei due grandi Papi ci invita a conoscerla in profondità e a farla propria, per poterla trasmettere a tutte le donne e a tutti coloro che aspettano la Buona Novella sulla altezza e la bellezza della loro vocazione all’Amore.
[1] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem , n. 30 (15.08.1988).
[2] Giovanni XXIII, Discorso alle partecipanti al IX Congresso nazionale del Centro italiano femminile (1.3.1959).
[3] Giovanni XXIII, Discorso ai partecipanti al Corso di studio «La donna e la professione», promosso dall'Università cattolica del Sacro Cuore (6.10.1961).
[4] Giovanni XXIII, Discorso ai partecipanti al Corso di studio «La donna e la professione», promosso dall'Università cattolica del Sacro Cuore (6.10.1961)
[5] Ibidem.
[6] Per approfondire, si veda: L. Melina, “Dio affida l’essere umano in modo speciale alla donna (MD, 30): una grande intuizione di Giovanni Paolo II”, relazione presentata in occasione del Seminario di studio «Dio affida l’essere umano alla donna» (cf. MD, 30), promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, Roma, 10 ottobre 2013.