Una gioia mai provata prima

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Nonostante i molti decenni della mia vita trascorsi sui campi di basket come allenatore, non smetto mai di stupirmi davanti  all'incanto di un ragazzino che per la prima volta viene accolto in una squadra di ragazzini come lui,  organizzata per fare un campionato.

La squadra è il luogo dell'incontro di un ragazzo con un mondo nuovo. Nella vita di chiunque abbia partecipato a uno sport di squadra, che sia egli un celebrato campione  oppure il semplice appassionato con pancetta che gioca con i colleghi, c’è stato un momento che difficilmente dimenticherà.  E' il giorno in cui, mentre  ancora ragazzino, si diverte sul campetto della parrocchia con gli amici, mettendo in pratica gli insegnamenti del minibasket ricevuti a scuola, si vede avvicinare da un ragazzo più grande. Questi lo osserva per un po', poi in una pausa  del gioco gli parla:  “Ciao, sono l'allenatore della  squadra della Parrocchia e con i ragazzi della tua età e facciamo un  campionato giovanile. Verresti a giocare con noi?” 

Udendo quelle parole il ragazzo scopre in se' una identità che gli era sconosciuta. Qualcuno si rivolge a lui non in quanto figlio di quei tali genitori, studente di quella tale classe, frequentatore di quella certa parrocchia, niente di tutto ciò. Qualcuno si rivolge a lui come possibile giocatore di basket e lo “chiama” a giocare nella sua squadra. Ora egli sente che sta abbandonando la condizione dell'infanzia legata alla protezione della famiglia e anche nei confronti dei suoi compagni di scuola capisce di uscire in qualche modo dal gregge scolastico che tutti equipara. Qualcuno ha posto su di lui una fiducia mai avvertita prima, non legata alla sua condizione familiare e neppure alle sue  qualità di scolaro, ma  scaturita dalla sua voglia di giocare ogni giorno con una palla e un canestro, una fiducia che lo fa sentire speciale al di fuori della cerchia familiare e scolastica.

Michele, per la prima volta,  si sente “scelto” da un gruppo di altri ragazzi che sono stati organizzati  per giocare un campionato di basket  e scopre, con una gioia mai provata prima, che quei ragazzi pensano di aver bisogno di lui per vincere il campionato.

Si accorge che  questa chiamata fuori da lui, ha suscitato  un sentimento dentro di lui, che corrisponde perfettamente a quella chiamata. Michele scopre di avere sempre avuto dentro di se' una specie di  “vocazione” per il gioco del basket che  la chiamata, solo ora, rende  visibile e irresistibile.

Rispondendo alla chiamata e unendosi alla squadra, Michele comincia un percorso pieno di straordinarie  scoperte. Lui non lo sa, ma in quel suo accettare l'offerta di entrare in una famiglia più grande che si chiama squadra,  rinnova l'antichissimo rito dell'Iniziazione, comune a tutte le civiltà, quando gli adulti accolgono il ragazzo dalle mani dei genitori e gli indicano la strada per diventare uomo, così come accade nel sacramento della Cresima o nella tradizionale festa ebraica del  Bar Mitzvah, il rito con cui il ragazzo tredicenne diventa responsabile del rispetto della Legge.

Il primo impatto in quel nuovo mondo è con il coach, cioè il Maestro. In un tempo come il nostro in cui la figura  del padre sta cambiando le sue connotazioni e vive in un incerto limbo tra la perdita' dell’autorità con i figli e un'  illusoria ricerca di amicizia, i figli cercano altrove i loro modelli e la loro guida. Raramente la loro ricerca trova il giusto sostegno nelle figure degli insegnanti, spesso sono i falsi miti ad accogliere le loro aspettative. I ragazzi che fanno sport hanno il privilegio di affidarsi per la loro educazione sportiva a un Maestro che ti da' delle regole, quelle che i genitori e gli insegnanti non sanno più dare.  Regole semplici, pratiche come quelle che  un artigiano insegna al  ragazzo di bottega, ma che sono aiuti formidabili per crescere come uomini, appigli sicuri cui rivolgersi quando si è in difficoltà ,sulle pareti scoscese del vivere.

Michele, fatica negli esercizi ma sente su di se' la voce del coach che gli dice:” Non guardare la palla mentre palleggi. Tieni la testa alta così puoi vedere un compagno libero e passargli la palla!” Oppure :”Tieni  il gomito ad angolo retto quando prepari il tiro”. O ancora:” Piega le gambe in difesa e non unire i piedi mentre scivoli o  perderai l'equilibrio e ti farai battere dal tuo avversario”. Ed e' una voce sicura, che non trema e che gli da' la forza di affrontare le difficoltà. Sono avvertimenti semplici che  intuisce all'istante e che sperimenta  sul suo corpo e  fissa nella sua mente. E i rimproveri anche burberi del coach non sono mai troppo duri per lui, perché' facendo proprie le regole, capisce da solo quando sbaglia e capendo forza i suoi muscoli e i suoi nervi ad obbedirgli fino a renderli docili alle sue richieste, come mai aveva sperimentato prima, quando la sua vita non conosceva la fatica dello sport.

Presto il ragazzo imparerà a conoscere le regole del gioco, che sono le regole del vivere civile, del rispetto dell'arbitro che quelle regole deve amministrare e imparerà ad aver fiducia nei compagni e rispetto per gli avversari, pur nel furore della competizione.

 

Per Valerio Bianchini.

 

Foto di tamuc e Ralph Arvesen

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