«Alla scuola di Francesco»

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18 maggio 2013

Avvenire Intervista di Mimmo Muolo a S. Em. il cardinale Stanisław Ryłko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici

Per due giorni piazza San Pietro torna a essere un grande cenacolo a cielo aperto. Come nel 1998 e nel 2006, i due precedenti della Giornata dei movimenti, delle associazioni e delle aggregazioni laicali, che oggi e domani raccoglierà intorno al Pontefice oltre 100mila pellegrini da tutto il mondo e che sarà uno dei grandi eventi dell’Anno della fede. Insomma, quella del 2013 sarà una Pentecoste «speciale», come sottolinea il presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, cardinale Stanislaw Rylko, in questa intervista ad Avvenire. Ma anche e soprattutto «una grande festa di famiglia», perché proprio a Pentecoste «la Chiesa festeggia il suo “compleanno”» e «torna idealmente nel cenacolo per riscoprire l’ardore della missionarietà alla quale ci invita Papa Francesco». Così, afferma il porporato, «insieme ai membri dei movimenti tutti dobbiamo sentirci coinvolti nell’azione di annuncio del Vangelo».

Eminenza, il beato Giovanni Paolo II definì i movimenti «una primavera dello Spirito». Oggi è ancora valida quella definizione?

Più che mai. Tutti i pontefici, da Paolo VI a Benedetto XVI, ci hanno insegnato a riconoscere nell’esplosione dei movimenti una sempre nuova Pentecoste, un dono dello Spirito per la Chiesa e per l’umanità. E dunque un segno di speranza. Per questo la veglia e la festa di Pentecoste costituiscono per loro il momento ideale per ritrovare il significato della propria missione, cioè essere espressione di questa missionarietà della Chiesa che è nata nel cenacolo di Pentecoste. Mi piace ricordare che nella Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II insisteva sul fatto che la Chiesa deve sempre ritornare al cenacolo per attingere qualcosa dall’ardore della predicazione apostolica che ha seguito quell’evento. La Chiesa, infatti, è sempre affamata dello slancio che solo lo Spirito può dare.

E ora su questo cammino si innesta la presenza di Papa Francesco. C’è una novità nel suo magistero, rispetto alla presenza e all’opera di movimenti e associazioni nella Chiesa?

Ho molto apprezzato una delle omelie mattutine di Papa Francesco, in cui il Santo Padre ha messo in guardia dal rischio di fare resistenza allo Spirito Santo. Egli porta sempre la novità e dunque ci sorprende con i nuovi orizzonti che apre davanti alla Chiesa. C’è, però, il pericolo che noi – abituati ai vecchi modi di fare – possiamo opporre resistenza, preferendo anteporre le nostre logiche umane. Perciò il Santo Padre ci ha ricordato che lo Spirito Santo non si può addomesticare, penso sia un insegnamento molto importante. Anche in questo momento storico, dunque, dobbiamo essere sempre pronti all’ascolto di ciò che lo Spirito Santo dice alla Chiesa.

E in definitiva che cosa dice?

Lo Spirito ci parla oggi attraverso il nostro Pontefice, che non si stanca di ripetere che i cristiani devono uscire da se stessi per portare Cristo verso tutte le periferie geografiche ed esistenziali. Gesù, infatti, bussa non solo dal di fuori per entrare sempre più nella vita dell’uomo e della Chiesa, ma anche dal di dentro per poter uscire e salvare il mondo. E qui io vedo in particolare il ruolo dei laici, anche quelli che sono membri dei movimenti e delle aggregazioni laicali.

Come possiamo qualificare la loro missione?

Ricordato che la missione è di tutta la Chiesa, e non solo di gruppetti di specialisti, possiamo però sottolineare che le nuove realtà ecclesiali e i nuovi carismi che lo Spirito Santo suscita non sono altro che «laboratori della fede» in cui tanti uomini e donne del nostro tempo ritrovano la fede come una perla preziosa per cui vale la pena di donare tutto, e riscoprono la bellezza dell’essere cristiani. Questo è veramente un grande dono. E dunque, pur essendo realisti nel guardare il mondo di oggi e le sfide che esso lancia alla Chiesa, dobbiamo riconoscere che lo Spirito – anche tramite questi nuovi carismi – ci dà le giuste risposte, suscitando ambienti in cui nascono cristiani convinti e maturi nella fede. Perciò, più che prestare ascolto alle voci dei profeti di sventura, apriamoci alla luce di speranza che viene dallo Spirito.

C’è una differenza tra l’incontro di questi giorni e quelli del 1998 con Giovanni Paolo II e del 2006 con Benedetto XVI?

In effetti questo incontro ha un carattere diverso, perché si inscrive nell’Anno della fede. In quelli del passato erano stati messi al centro i nuovi carismi, da conoscere e da valorizzare. Oggi e domani, invece, sotto i riflettori c’è la fede che viene messa in discussione in tanti ambienti e Paesi e che bisogna assolutamente riscoprire, vivendola, celebrandola e trasmettendola alle future generazioni. In quest’ottica i movimenti si presentano come strumenti provvidenziali per confermare i fratelli nella fede.

Eppure, quando Giovanni Paolo II li riunì per la prima volta, la sua fu considerata una specie di “scommessa”. Oggi com’è la situazione?

Anche oggi i movimenti continuano a essere una sfida nella Chiesa. Comunque, grazie al cammino percorso durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci sono state nuove aperture da parte di tanti pastori che forse prima erano un po’ prudenti, ma che poi hanno visto i nuovi carismi come una risposta valida che non viene dalle commissioni per la pastorale ma dall’alto, cioè dallo stesso Spirito Santo. Questo ci hanno insegnato Papa Wojtyła e Papa Ratzinger. Ora Papa Francesco con il suo invito a non opporre resistenza ricorda che lo Spirito stesso ci offre diversi mezzi efficaci. Spetta a noi farne buon uso. Inoltre questi incontri hanno un ulteriore effetto positivo.

Quale?

Quello di mostrare la sinfonia dei carismi, l’unità nella diversità. Personalmente resto sempre molto colpito da questo, e l’ho vissuto in maniera tangibile sia nell’incontro del 1998, sia in quello del 2006. Vedere questa straordinaria diversità dei carismi che si compongono nella comunione della Chiesa è davvero bellissimo. E in questa unità un ruolo particolare viene svolto dalla persona del successore di Pietro, perché i movimenti hanno come loro caratteristica principale l’apertura universale. Sono cioè capaci di andare fino ai confini del mondo, di animare la vita di persone di diverse culture, razze e Paesi. Ma tutti fanno riferimento al principio di unità rappresentato dal Papa.

È dunque finita l’epoca di talune contrapposizioni?

Sicuramente sì. E questo è uno dei frutti del percorso che abbiamo già fatto. All’inizio non era facile perché era una novità che ci ha colto di sorpresa un po’ tutti. Adesso invece si vede che lo spirito di comunione è molto maturato sia all’interno di quelle realtà, sia come sguardo amico e preziosa collaborazione tra i diversi movimenti. Il tutto grazie all’azione dello Spirito.

Che cosa rimane da fare?

Ciò che è fondamentale è non rimanere sordi alla voce dello Spirito, perché lo Spirito non si addormenta mai, è sempre all’opera e dà risposte tempestive. Siamo noi a essere un po’ testardi, attaccati ai nostri vecchi metodi. Invece di opporre resistenza, occorre mettersi in ascolto, un ascolto umile e docile. Lo Spirito ci invita sempre a cambiare i nostri progetti, perché non sono mai un dogma. Ciò che conta sono i suoi progetti.

E ai laici “di parrocchia”, quelli che non appartengono ad alcun movimento, che cosa dice l’esperienza dei nuovi carismi?

Penso che la cosa fondamentale di cui un cristiano per così dire “medio” oggi abbia bisogno è vedere con i propri occhi che si può vivere il Vangelo anche nella sua dimensione radicale. E che questo non solo è possibile, ma è anche bello e dà gioia. Anch’io non appartengo ad alcun movimento, ma quando li incontro approfitto della loro testimonianza. E cioè: vale la pena di essere cristiani. Un messaggio che può aiutare tutti gli uomini e le donne del nostro tempo.


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