Benedict Daswa, catechista laico, è il primo Beato sudafricano

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Da Radio Vaticana

“Catechista diligente, insegnante premuroso, testimone del Vangelo fino all'effusione del sangue”: così Papa Francesco definisce Benedict Daswa, laico e padre di famiglia, primo Beato sudafricano nella storia della Chiesa. Lo ha ricordato anche all'Angelus. La cerimonia di beatificazione si è svolta questa domenica in Sudafrica, a Tohoyandou. A rappresentare il Pontefice è stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Isabella Piro: “Tshimangadzo”, ovvero “meraviglia, miracolo”: è questo il nome tradizionale di Benedict Daswa. E davvero la sua vita è un miracolo della grazia: nato il 16 giugno 1946 nel villaggio rurale di Mbahe da una famiglia non cristiana, dopo la morte prematura del padre, si prende cura dei quattro fratelli. A 17 anni incontra Benedetto Risimati, catechista carismatico: grazie a lui, riceve il battesimo ed in suo onore sceglie il nome di Benedict. Gli piace coltivare la terra e rifornisce di verdura l’intero paese, aiutando i poveri ed i giovani.

Impegnato sul fronte educativo, Benedict Daswa diventa maestro elementare e poi direttore di scuola primaria. Fornisce il suo villaggio di un campo sportivo ed allena i ragazzi della squadra di calcio. E con le sue stesse mani, contribuisce alla costruzione di una chiesa e di una scuola, trasportando sassi e ghiaia dal fiume al villaggio. A 30 anni si sposa con Shadi Eveline Monyai, dalla quale ha 8 figli. Sfidando usi e costumi locali, lava i loro pannolini e aiuta la moglie nelle faccende domestiche.

Dal 1980 al 1990, opera attivamente in parrocchia, aiutando il parroco, animando le funzioni liturgiche ed insegnando catechismo. Ma a gennaio del 1990, le cose cambiano: un nubifragio si abbatte sul villaggio e il tetto di molte capanne va a fuoco a causa dei fulmini. I capi-villaggio parlano di una maledizione, frutto di stregoneria, e decidono di assoldare uno sciamano perché individui il responsabile del sortilegio e lo allontani dal villaggio. Benedict si oppone: “La mia fede mi impedisce di partecipare a questa caccia alle streghe”, dice, mentre si sforza di spiegare l’origine naturale dei fulmini.

Guardato con sospetto e deriso per aver rinnegato le tradizioni popolari, una settimana dopo cade in un’imboscata: alcuni rami messi di traverso sulla strada che deve percorrere lo costringono a scendere dall’automobile, permettendo così l’assalto di un gruppo di compaesani armati di pietre e bastoni. Rincorso e malmenato senza pietà, ustionato con acqua bollente e finito a colpi di pietra, prega ad alta voce fino all’ultimo respiro. Il suo martirio appare subito chiaro, il processo per la beatificazione avviene in tempi rapidi e tre sono i messaggi che oggi il nuovo Beato, “capolavoro dello Spirito Santo”, lascia a tutti noi. Ascoltiamo il cardinale Angelo Amato:

“Anzitutto ci invita a essere testimoni autentici di Cristo e della sua parola di vita. Come egli ha testimoniato con il sangue la sua fede, anche noi siamo chiamati a farlo con la quotidiana e sacrificata fedeltà alla pratica dei comandamenti di Dio e soprattutto al suo precetto di amore e di perdono in famiglia, in comunità, nella società. In secondo luogo il Beato Benedict Daswa ci incoraggia ad essere evangelizzatori e missionari di Cristo. In terzo luogo Benedict è un padre di famiglia che amava la vita accogliendola, curandola e proteggendola come un prezioso dono di Dio. È questo un messaggio che il nostro Beato rivolge con urgenza a tutte le famiglie cristiane del mondo: accogliere la vita con generosità e riconoscenza verso Dio, creatore di ogni vita sulla terra. La Chiesa, famiglia di Dio, ama la vita, protegge la famiglia, educa i suoi figli a diventare buoni cristiani e onesti cittadini”.

Impuniti e perdonati, gli assassini di Bedict ancora oggi chiedono ed ottengono aiuto dai figli del Beato, che dicono: “Così avrebbe fatto nostro padre”. Ancora il cardinale Amato:

“Onorando il Beato Benedict, la Chiesa invita i cattolici a nutrire solo sentimenti di carità, di fraternità, di concordia, di solidarietà al di là delle differenze etniche, sociali e religiose. La Chiesa cattolica esalta i suoi Martiri e i suoi Santi perché essi sono messaggeri di pace e di bontà. Le loro vite sono medicine efficaci per risanare i cuori dalle ferite dell'odio, della divisione, del disprezzo del prossimo”.

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